“In the finished article, the only thing that’s important is whether it moves you or not. There’s nothing else that’s important at all.”
Roger Waters, Live at Pompei, 1972
Non capita tutti i giorni di andare a sentire un concerto di Roger Waters. Era già successo nel giugno del 2006, all’Arena di Verona, allora il tour si chiamava “The Dark Side of the Moon Live”.
Waters è diverso da tutti gli altri ex componenti dei Pink Floyd, ho sempre pensato che lui rappresentasse l’anima più autentica del gruppo, almeno dopo il precoce allontanamento di Syd Barrett.
I Pink Floyd, nonostante sia stata una band composta da altri musicisti eccezionali, rimangono una creatura in larga parte plasmata da lui; dai suoi testi e dai contenuti che hanno trasformato musiche già di per sé eccezionali in autentici capolavori.
Con Waters è l’arte a parlare al pubblico, l’artista non fa altro che veicolarla in modo sublime. Non c’è protagonismo, ma solo il fluire di concetti ed emozioni. In questo tour Roger è accompagnato da altri artisti di alto livello come il duo vocale Lucius (“the great gig in the sky”) e il chitarrista Jonathan Wilson, voci che sembrano venire da una dimensione preistorica, voci senza peccato.
US+THEM, noi e loro…Waters non viene mai meno agli ideali che ha sempre portato avanti fin dall’inizio: la scomparsa del padre durante la seconda guerra mondiale (“bring the boys back home”) durante la Battaglia di Anzio (fatto che forse lo lega in maniera particolare all’Italia) ha inciso profondamente su tutta la sua produzione artistica, che è diventata manifesto politico di ideali di pace, giustizia sociale, resistenza alla violenta mercificazione dei sentimenti (“welcome to the machine”, “comofortably numb”) che, oggi più che mai, sentiamo indispensabili.
E tutto questo lo fa con una tenerezza e una umanità che scaldano il cuore (“mother”, “vera”, “wish you were here”).
words by Carlo Alberto Pacilio
pics by Costantino Bedin
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