Caso vuole che un mio amico di sempre abbia vissuto, giusto uno o due anni fa, a Majdal Shams, sulle alture del Golan, al confine tra Israele, Siria e Libano. Gli era stato all’epoca detto che “un gruppo abbastanza famoso” fosse di quelle parti, ma non ricordava con precisone di chi sì trattasse. Bene, Spotify mi ha recentemente per caso riproposto questo stesso gruppo, i Tootard.
Hassan e Rami Nakhleh, fratelli, cantante e chitarrista il primo, batterista e bassista il secondo, sono il fulcro dei TootArd. Il nome del gruppo viene dal termine arabo levantino per “fragole”, ma la maiuscola all’interno della trascrizione latina potrebbe mettere l’accento sul termine Ard, “terra”. A loro si affiancano Shadi Awidat al basso, Yazan Ibrahim come seconda chitarra e Amr Mdah al sax. Occorre però precisare un dettaglio non da poco: i cinque sono sì nati all’interno di Israele, ma non sono cittadini israeliani. Palestinesi nemmeno. Siriani neppure. Libanesi non ne parliamo. Gli abitanti delle alture del Golan (Al-Jawlan), territori siriani occupati da Israele nel 1967, non hanno infatti alcun diritto alla cittadinanza. Non hanno nemmeno un passaporto: hanno soltanto la possibilità di domandare un lasciapassare qualora volessero spostarsi all’estero.
Laissez passer, “lasciapassare” appunto, è così il titolo scelto per il secondo album realizzato dai Tootard: dopo alcuni anni di pausa (il loro disco d’esordio autoprodotto Nuri Andaburi è del 2011) e un periodo di lontananza dal Golan, i quattro membri si sono ritrovati. Hanno così realizzato e pubblicato nel novembre 2017 questa nuova produzione, per l’etichetta tedesca Glitterbeat Records che li aveva scoperti in occasione della Palestine Music Expo dell’anno precedente. Pur non essendo palestinesi, i Tootard hanno difatti spesso suonato sia a Gerusalemme (al-Quds in arabo) che nei territori palestinesi, appoggiandosi così alla viva scena musicale palestinese
.
Laissez passer è un album pensato sia per il mercato locale che per l’estero, soprattutto per gli altri paesi arabofoni, ma anche per le platee occidentali. È stato prodotto dagli stessi Rami ed Hassan Nakhleh, e registrato e mixato a Gerusalemme da Sami Darwish Al-Kurd presso la Darwish Productions. Non è un caso che il titolo (nonché il titolo dell’omonimo pezzo) sia in francese. E non è un caso che l’etichetta sia, oltre che tedesca, un’etichetta specializzata in artisti “both culturally committed and resolutely contemporary” (“impegnati culturalmente e fortemente contemporanei”). Glitterbeat pubblica difatti autori originari di Mali, Sahara occidentale, Gambia, Brasile, Messico e, sì, anche Italia (dacché si è sempre la “musica etnica” di qualcun altro). Glitterbeat ha prodotto infatti i due album del progetto Sacri Cuori, dell’artista romagnolo Antonio Gramentieri.
Le sonorità dell’album molto devono in effetti alla nuova scena tuareg, che molto gradimento ha recentemente raccolto anche in Europa – si pensi a Bombinoe ai Tinariwen, spesso citati come ispirazione dagli stessi Tootard insieme a Bob Marley. A queste influenze vanno aggiungersi riferimenti sia al più classico blues rock all’americana (è il caso di Bayati blues ad esempio) che appunto al reggae giamaicano delle origini, genere cui il primo album era già in buona parte debitore. Tuttavia, in ognuno dei pezzi dell’album – certo molto “esterofilo” – si sente netta e forte l’identità di un gruppo che “sulla carta” ne sarebbe sprovvisto. Ed è un’identità fortemente araba, fortemente levantina. Un’identità attaccata al Golan come la sua montagna alle sue pendici (o radici). E in alcuni pezzi, come ad esempio Roots Rock Jabali (“Il roots rock della montagna” o “la pietra alle radici della montagna”), questi richiami alla musica tradizionale araba si sentono particolarmente.
E sono sì richiami principalmente musicali, con il sassofono a ricalcare le parti che sarebbero state un tempo performate dal mizmar – antico strumento a fiato – e la chitarra a sostituire l’oud. Ma non sono solo riferimenti musicali, lo sono anche nel testo. Uno storico maestro dell’oud nonché cantante arabo di fama mondiale è stato il libanese Marcel Khalife, che negli anni ’70 mise in musica molti testi del celebre poeta palestinese Mahmoud Darwish. E’ difficile dunque non sentire in Laissez Passer un’eco di Darwish che, nella sua Jawaz el Safar (“passaporto” appunto), lamentava la sua condizione di apolide, privato di una patria dopo la fondazione dello Stato di Israele e l’esodo palestinese del 1948. Darwish e Khalife cantavano allora l’insensatezza di quel sistema e il dramma collettivo della perdita dell’identità. Mostravano l’assurdità dei controlli d’identità della polizia di frontiera, che nulla poteva veramente comprendere dell’uomo che aveva di fronte. Uomo che per contro era concentrato a cercare di “non farsi riconoscere” mentre i luoghi, le piante, gli animali, ogni cosa in quella terra lo riconosceva.
I Tootard hanno un approccio diverso alla questione. Innanzitutto, non sono palestinesi, e questo è un discrimine identitario non da poco. Ma soprattutto, sembrano avere superato il trauma della perdita dell’identità. I testi dei Tootard non sono prettamente “politici”. Eppure l’impegno e l’amore per la loro terra, unito alla volontà di superare tutti i confini, musicali, politici, mentali, traspaiono in ogni strofa. Nel singolo che dà il titolo all’album del resto, Laissez Paisser, il concetto che sembrano voler trasmettere è appunto questo: la loro identità, come quella di chi li ascolta, va al di là di un pezzo di carta.
Quasi non avessero bisogno di dimostrarla quell’identità, perché è lì, nella loro musica, nei paesaggi del Golan in mezzo ai quali i Tootard scelgono di realizzare il video. La loro identità si libra nel cielo come un “asfour”, un usignolo, ed è allo stesso tempo solida come quella montagna di cui si sentono parte.
“La tua nazione, la tua patria, è sconosciuta. Ma con la mia musica mi alzo in volo come un uccello, cambio le mie piume, cambio le mie corde. Tra le mie lettere, parole di fuoco. Arabo? Africano ? Oud o chitarra?”
I TootArd suoneranno per la prima volta in Italia all’Antifestival che si terrà a Cannaiola (PG) tra il 20 e il 24 giugno prossimi.
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